WHERE IS MY BROTHER? di GIANNI CIPRIANO
Le immagini diffuse dai media che raccontano il fenomeno delle grandi migrazioni internazionali non ci impressionano più. Né hanno contribuito a sensibilizzare noi occidentali a concedere agli altri una solidarietà di cui hanno diritto. Ne è la testimonianza l’avanzata della destra populista e xenofoba in Europa, Italia compresa. La visione di immagini di sbarchi e naufragi è diventata una routine, anche tra le persone più sensibili. Questo forse perché siamo traditi da noi stessi, dal nostro sistema nervoso centrale che funziona sulla base di stimoli nuovi. Ciò che rappresenta una novità viene impresso nella memoria. E il meccanismo che imprime il ricordo della memoria è l’emozione. L’immagine di Aylan, il bambino siriano morto su una spiaggia dell’isola di Kos in Grecia, resta impressa nella memoria perché provoca emozione di sdegno, misericordia, condanna. Ma se un’esperienza è già stata consumata, provata, non si attiva il meccanismo emotivo. E dunque, una cosa che ci aveva commosso e travolto, quando viene sottoposta a una reiterazione si sgancia dall’emotività ed entra nella normalità. E quindi non provoca più scandalo, ma assuefazione.
L’invisibilità ancora oggi si offre in una duplice modalità: da un lato l’assenza e la distruzione delle immagini, dall’altra la ridondanza delle immagini fino alla riduzione di queste a un sottofondo visivo così monotono da non essere più percepibile. Anche ai piedi del faro non c’è luce. Come ha scritto Georges Didi-Huberman in uno degli scritti fondamentali di filosofia delle immagini «distruggere e moltiplicare sono i due modi di rendere un’immagine invisibile: con il niente e con il troppo».