GIBELLINA 1968 – OTTO MINUTI DOPO LE TRE di GIUSEPPE IANNELLO
Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 un violentissimo sisma colpì la valle del Belìce, nella Sicilia Occidentale. Il terremoto causò duecentotrentun morti e oltre settecento feriti. Per molti anni gli abitanti furono costretti a vivere in baracche. Solo molto dopo, il Governo Italiano tentò una ricostruzione delle zone colpite. Sorse una nuova Gibellina a venti chilometri dalla vecchia.
Mentre il vecchio paese subiva una rapida morte causata del terremoto, il nuovo la incassava per mano dei pianificatori.
Le case, progettate sull’idea della città-giardino hanno, di fatto, cancellato l’abitudine degli abitanti di sedersi sui gradini della porta di casa. Gli anziani dicono di sentirsi ospiti nel proprio paese, in quel paese che dovrebbero vivere come parte della loro storia fondativa, parte della loro costituzione gruppale, mentre i giovani si sentono orfani di un modo di vivere privo di riferimenti sociali. Il paese è diviso tra passato e presente.
Solo le rovine di Gibellina diventate luogo di commemorazione artistica ad opera di Alberto Burri, sembrano attrarre senso e acquisire quella profondità e prospettiva che dà ad un luogo, ad un insieme materiale e immateriale, la sua specifica essenza.
Il mio interesse ruota attorno a questa disconnessione tra le due generazioni. Che cosa rimarrà nella mente dei giovani quando l’ultima persona che ha vissuto il terremoto non ci sarà più a raccontare le storie del vecchio paese? E come vivranno e creeranno quegli spazi comuni che sono andati persi?
La fantasia mi ha spinto ad immaginare la città vecchia, la sua gente e la sua storia, ma anche a domandarmi il significato della Memoria. Le proiezioni di immagini di archivio sui muri del Grande Cretto di Burri vogliono ricreare le strade, la vita quotidiana e i volti degli abitanti di Gibellina prima del terremoto.
Le immagini raccontano di un presente scollegato con il suo passato, di una Sicilia idealizzata e del suo conflitto con il presente.